Ictus Cerebrale
Psicologi esperti nella riabilitazione e prevenzione cognitiva.
Che cos’è l’ictus cerebrale?
L’ictus cerebrale rappresenta la più frequente tra le malattie cerebrovascolari che ogni anno affliggono milioni di persone in tutto il mondo. In Italia, compare come terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Dato l’aumento dell’aspettativa di vita e la minore mortalità che ne consegue, rappresenta un’emergenza sanitaria in prevedibile espansione nei paesi occidentali.
Attualmente, costituisce una condizione morbosa di primaria importanza, in considerazione non solo dell’elevata incidenza, ma anche delle conseguenti limitazioni che risultano essere la principale causa di disabilità nella popolazione. A conferma di questo, la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) riporta che un terzo dei soggetti sopravvissuti ad ictus presenta deficit tali da poter essere definito totalmente dipendente a livello assistenziale.
Cosa succede nel cervello di un paziente con ictus cerebrale?
L’ictus cerebrale indica un deficit neurologico ad insorgenza acuta i cui sintomi sono di origine vascolare non traumatica. Partendo da questa definizione, è possibile differenziare due categorie: l’ictus ischemico ed emorragico. Entrambi si caratterizzano per una scarsa irrorazione sanguigna del tessuto cerebrale che, se non prontamente ristabilita, porterebbe alla morte delle cellule cerebrali; a distinguerli è invece la causa scatenante. L’ictus ischemico è il risultato di un’ostruzione di un vaso sanguigno, spesso dovuta ad un trombo (ictus trombotico) o ad un embolo (ictus embolico), che impedisce un’adeguata perfusione dell’area colpita. L’ictus emorragico, invece, è causato da un’emorragia provocata nella maggior parte dei casi dalla rottura di un aneurisma, ovvero un vaso cerebrale dilatato in maniera anomala e congenita.
Dai dati disponibili sulle malattie cerebrovascolari emerge che, mentre circa i tre quarti sono di natura ischemica, solo il 20% risultano ad esordio emorragico.
Inoltre, si distingue un ulteriore evento neurologico che si differenzia dai precedenti per la durata dei sintomi. L’attacco ischemico transitorio (TIA), infatti, si caratterizza come un episodio acuto di disfunzione cerebrale dovuto a un deficit di irrorazione ematica i cui sintomi regrediscono completamente entro 24 ore.
Quali sono le cause di un ictus cerebrale?
Oltre ai meccanismi eziopatogenetici alle base delle diverse tipologie di ictus cerebrale sopra elencate, è necessario ricordare che si tratta di una patologia altamente influenzata da diversi fattori di rischio.
Si possono distinguere fattori di rischio non modificabili (età, sesso e predisposizione genetica) e fattori parzialmente o totalmente modificabili. Quest’ultimi si riferiscono a condizioni mediche (ipertensione, fibrillazione atriale, colesterolo alto e glicemia alta che portano a diabete) e a comportamenti legati allo stile di vita (inattività fisica, alimentazione scorretta, fumo, abuso di alcol e droghe e stress).
Nonostante in rari casi l’ictus possa esordire in età giovanile a causa di malformazioni congenite, l’età è sicuramente il principale fattore di rischio. Inoltre, si stima che dal 18 al 30% delle persone che hanno avuto un ictus ne avranno un altro entro 5 anni. Gli episodi secondari sono associati a tassi di mortalità più elevati, maggiori livelli di disabilità e maggiori costi rispetto agli eventi iniziali. Quindi, l’invecchiamento della popolazione, combinato con la ridotta mortalità per ictus, suggerisce un crescente carico sul sistema socio sanitario e l’esigenza di investire maggiori risorse sulla prevenzione.
Quali sono i sintomi di un ictus cerebrale?
Gli esiti di un ictus, sia esso di natura ischemica o emorragica, possono comportare un ampio corollario di deficit motori e cognitivi.
Tra i principali disturbi del movimento che vengono rilevati all’esame clinico sono frequenti: paresi/plegia di uno o più arti; alterazione del tono muscolare che può verificarsi come contrazione involontaria, prolungata e ripetuta di un gruppo di muscoli (distonia); contrazione muscolare rapida e involontaria (mioclono); movimenti improvvisi, involontari e afinalistici (corea); movimenti involontari, improvvisi e stereotipati (tic); tremore; movimenti involontari della mano, finalizzati, come afferrare un oggetto (sindrome della mano aliena).
Quali sono gli esiti di un ictus cerebrale?
Gli esiti di un ictus, sia esso di natura ischemica o emorragica, possono comportare un ampio corollario di deficit motori e cognitivi.
Tra i principali disturbi del movimento che vengono rilevati all’esame clinico sono frequenti: paresi/plegia di uno o più arti; alterazione del tono muscolare che può verificarsi come contrazione involontaria, prolungata e ripetuta di un gruppo di muscoli (distonia); contrazione muscolare rapida e involontaria (mioclono); movimenti improvvisi, involontari e afinalistici
(corea); movimenti involontari, improvvisi e stereotipati (tic); tremore; movimenti involontari della mano, finalizzati, come afferrare un oggetto (sindrome della mano aliena).
Per capire invece i possibili esiti cognitivi e comportamentali conseguenti all’ictus è molto utile nella pratica clinica sapere con esattezza la sede e l’entità della lesione. Molte aree cerebrali sono infatti deputate, direttamente o come componenti di circuiti più ampi, a particolari funzioni. Ecco perché essere a conoscenza della lateralizzazione (emisfero destro o sinistro) e della precisa sede della lesione può aiutare il professionista a prevedere e comprendere l’ampio spettro della sintomatologia cognitiva.
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Circa L'11,1% della popolazione presenta nel corso della propria vita almeno un disturbo d'ansia. Superare pero questi periodi è possibile sempre più spesso grazie alla psicoterapia o a percorsi di sostegno psicologico dove il paziente può esprimersi liberamente e ed essere ascoltato senza giudizi da un professionista pronto a guidarlo nel percorso di guarigione.
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Quali sono le manifestazioni cognitive legate all’ictus cerebrale?
Come già descritto, la sintomatologia cognitiva dell’ictus attinge da una vasta gamma di disturbi, le cui manifestazioni dipendono dal coinvolgimento di determinate aree piuttosto che altre.
Tipicamente, i principali deficit cognitivi che si riscontrano sono:
Afasia. Il disturbo del linguaggio, o afasia, è un sintomo debilitante che affligge circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus. La sede della lesione è circoscritta, nella quasi totalità dei casi (fanno eccezione una piccola percentuale di soggetti mancini), all’emisfero sinistro.
Si tratta di una patologia che può essere descritta come un deficit dei sistemi cerebrali preposti alla produzione (afasia di Broca) e/o alla comprensione (afasia di Wernicke) del linguaggio. Non si tratta, quindi, di un disturbo percettivo, legato alla compromissione della funzione uditiva, né di un disturbo motorio, inteso come corretta articolazione fonatoria. Bensì, nell’afasia, le immagini e le rappresentazioni del pensiero non riescono ad essere tradotte in parole e viceversa
Aprassia. Il disturbo prassico è anch’esso di frequente riscontro in seguito ad una lesione localizzata nell’emisfero sinistro. Con il termine aprassia ci si riferisce ad una condizione in cui l’azione, ancora potenzialmente eseguibile a livello motorio, non viene prodotta correttamente. Si tratta di un disturbo difficilmente riscontrabile nella vita di tutti i giorni, dove il contesto innesca istintivamente i gesti adeguati alla situazione. Si osserva invece nelle condizioni artificiose di valutazione neuropsicologica, quando l’esecuzione degli stessi gesti viene richiesta dall’esaminatore.
Deficit percettivi. Un’altra conseguenza riscontrabile nei pazienti colpiti da ictus sono i deficit percettivi, o agnosie. Queste, possono essere distinte in due categorie, che si riferiscono ai due stadi fondamentali del riconoscimento di uno stimolo/oggetto. Una compromissione del primo livello, ovvero una mancata elaborazione delle caratteristiche sensoriali dello stimolo, definisce un’agnosia appercettiva. Invece, una volta creata la rappresentazione percettiva, il mancato accesso alle conoscenze strutturali e funzionali dell’oggetto indica un’agnosia associativa.
Eminegligenza spaziale. L’eminegligenza spaziale, o neglect, è un disturbo neurologico molto comune che si riscontra in circa il 40% dei pazienti con ictus. È il deficit più frequente a seguito di una lesione dell’emisfero destro ed è caratterizzato da un’incapacità di percepire ed interagire con gli stimoli presenti nel campo visivo sinistro.
Anosognosia. L’anosognosia si caratterizza per una ridotta o mancata consapevolezza dei sintomi motori, visivi o cognitivi manifestati dal soggetto, con una conseguente negazione degli stessi. Frequentemente, questo disturbo si manifesta in comorbilità con l’emiplegia, il neglect o l’afasia.
La sintomatologia sopra descritta, insieme ad altri deficit, definisce il decadimento cognitivo vascolare. Questo, si riferisce ad una condizione di ipofunzionamento cognitivo esito di una malattia cerebrovascolare e può rappresentare un precursore di una demenza vascolare, la seconda demenza più frequente negli anziani.
Come avviene la diagnosi di ictus cerebrale?
L’ictus, come abbiamo visto, è una patologia che si manifesta in maniera visibile fin da subito. Per questo motivo, i primi campanelli di allarme per un sospetto ictus devono essere dati dai principali segni che lo accompagnano, racchiusi nell’acronimo FAST: Face (faccia), paresi facciale, con bocca storta e angoli che cadono verso il basso; Arms (braccia), deficit motorio dove le braccia appaiono deboli e non si riesce a tenerle entrambe tese in avanti; Speech (linguaggio), difficoltà a pronunciare frasi anche semplici; Time (tempo), tempestività nel chiamare i soccorsi qualora si ravvisasse anche solo uno di questi sintomi.
Come si cura l’ictus cerebrale?
L’intervento su un paziente con malattia cerebrovascolare viene differenziato in base allo stadio della malattia.
Durante la fase acuta, il paziente viene ricoverato nelle Stroke Unit che effettuano un intervento tempestivo e differenziato sulla base della tipologia dell’ictus, ischemica o emorragica.
In seguito alla stabilizzazione del paziente, l’impostazione della fase post-acuta costituisce parte fondamentale del percorso. Il primo obiettivo è rappresentato dalla realizzazione di un progetto riabilitativo multidisciplinare che coinvolge medici, infermieri, fisioterapisti, neuropsicologi, logopedisti e terapisti occupazionali.
Per quanto riguarda l’intervento neuropsicologico, inizialmente viene effettuato un colloquio clinico ed anamnestico, seguito da una valutazione delle funzioni cognitive.
Sulla base dei risultati ottenuti ai test, il neuropsicologo imposta un trattamento riabilitativo mirato al recupero delle funzioni deficitarie e all’apprendimento di nuove strategie compensative. Per fare questo, utilizza diversi strumenti (cartacei e/o computerizzati) e propone esercizi specifici di difficoltà crescente. Inoltre, lo psicologo accompagna il paziente e il caregiver nella gestione degli aspetti emotivi e comportamentali che si presentano in sede di ospedalizzazione e durante il rientro al domicilio.
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